16 Aprile 2025

RossoneroBlog

Fatti ed opinioni su AC Milan

Occorre rifare una buona parte … di tutto.

Qualche settimana fa scrissi un paio di articoli: uno intitolato “Lettera di fine anno a Gerry Cardinale” e un altro, di cui non ricordo bene il titolo, in cui citavo la famosa frase di Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”. La lettera a Cardinale la scrissi proprio il 31 dicembre, il giorno dopo l’esonero di Paulo Fonseca. In quella “missiva virtuale” mi lamentavo con il patron di RedBird per aver scelto persone inadatte a gestire il Milan, una società con ben 125 anni di storia alle spalle.

In particolare, puntavo il dito contro Zlatan Ibrahimovic, alla sua prima esperienza come dirigente, al quale Cardinale aveva affidato le chiavi del Milan forse per la sua forte personalità e la grande esperienza sui campi dei maggiori campionati europei. Poi c’era Giorgio Furlani, descritto da molti come un semplice gestore di risorse finanziarie, ma che in realtà ha avuto un ruolo cruciale nelle scelte strategiche del club. Aggiungo anche Geoffrey Moncada: ottimo nel lavoro di scouting, ma inadatto nel ruolo di Direttore Sportivo.

Scrivo questo articolo dopo la penosa sconfitta – non ci sono altri aggettivi adatti – contro la Dinamo Zagabria ieri sera in Champions League. Leggo commenti del tipo: “Squadra senza equilibrio tattico”, “Non sono giocatori da Milan” e persino “Noi non siamo americani”. Come sempre, dopo l’ennesima brutta partita, e ancor più dopo una stagione che definire “calvario” è appropriato, nel calderone delle proteste finisce di tutto. Ma è importante capire quali siano le radici profonde di questa delusione.

Per farlo è utile ripercorrere a ritroso gli eventi recenti. Seguitemi in questo ragionamento e decidete voi se essere d’accordo o meno.

Ieri in campo abbiamo visto quelli che alcuni considerano ancora le “colonne portanti” del Milan, ovvero Theo e Leão, giocare come se fossero alla partitella a calcetto del mercoledì sera tra amici. Un allenamento dove l’importante è mantenersi tonici, senza badare troppo all’impegno. E non è la prima volta che capita, oltretutto in partite di grande importanza.

Poi c’era il giovane americano Yunus Musah, cresciuto a Castelfranco Veneto, che si è impegnato come un gregario privo di eccelse doti tecniche, compensando con la volontà. Tuttavia, ha vanificato tutto con un fallo sciocco, lasciando la squadra in inferiorità numerica. In una partita dove il mister ha dovuto adattare un centrale difensivo a fare il terzino, la presenza di Musah era fondamentale per garantire copertura.

E come non menzionare il capitano della nazionale spagnola, reduce da una stagione con 21 gol, che ieri ha dato l’impressione di avere paura di tirare in porta? Nelle prime uscite mostrava grinta e carattere, ma col tempo si è perso… o forse si è arreso? Le sue alternative, di cui ho già parlato, non sono da meno: non centrano la porta nemmeno pregando tutti i santi.

I nostri pezzi migliori – Fofana, Reijnders, Maignan – si stanno spegnendo come candele al lumicino. Forse si rendono conto che trascinare la squadra da soli è faticoso e demoralizzante.

Questa situazione deriva anche dalla scelta, solo otto mesi fa, di esonerare Stefano Pioli per sostituirlo con Paulo Fonseca, dopo un tentativo fallito con Julen Lopetegui. Fonseca è un buon allenatore, ma non eccezionale, e gli sono stati affidati giocatori inadatti al suo modello tattico. Il risultato lo conosciamo tutti: ora la squadra è guidata da un allenatore che, secondo me, doveva essere la prima scelta per sostituire Pioli, con una rosa costruita su sue indicazioni.

Invece, in otto mesi abbiamo cambiato tre allenatori, mentre il triumvirato dirigenziale decideva arbitrariamente quali giocatori acquistare, basandosi su parametri economici restrittivi. Forse contavano sul fatto che il nuovo allenatore, abituato a lavorare con i giovani, potesse trasformare il Milan in una fucina di talenti e fare cassa con la Champions League.

Guardando nel complesso il progetto RedBird, l’idea di base non era neanche sbagliata. Ciò che si è rivelato palesemente errato sono le modalità e le persone a cui è stato affidato il progetto. Esaminando la dirigenza, parlo di Ibrahimovic, Furlani, Moncada, Scaroni e l’ex D’Ottavio.

RedBird è un fondo d’investimento diverso dal precedente Elliott o da quello dirimpettaio “sull’altra sponda del Naviglio” e cioè Oaktree. Io, RedBird, compro società sportive – chiedendo ai miei investitori abituali di affidarmi il loro denaro per un nuovo progetto -, le faccio crescere di valore, puntando su un mix di risultati sportivi e bilancio sano, per rivenderle a prezzo triplicato entro 5-10 anni. Un lavoro differente da Elliott oppure Oaktree che rilevano società indebitate, a fronte di prestiti concessi e non restituiti, tagliano spese e persone e rimesso in sesto il bilancio poi rivendono.

Tornando al mio lavoro: affidandomi a Ibrahimovic, Furlani e Moncada, ho creduto di aver scelto persone competenti. Ibrahimovic, campione con vasta conoscenza del calcio; Furlani, esperto di finanza; Moncada, rinomato scout. Tuttavia, ho tolto la figura del Direttore Sportivo, ritenendola superflua, sostituendola con D’Ottavio, un DS fantoccio.

Per concludere, ho lanciato “Milan Futuro”, un progetto per coltivare giovani talenti. Ibrahimovic mi ha suggerito Zirovski, ex collega nei LA Galaxy.

Ecco l’origine del problema: una dirigenza affidata a persone inesperte, o forse meglio dire di esperienze totalmente differenti, che prendono decisioni sbagliate. Tre dirigenti hanno scelto di esonerare un allenatore, sostituirlo con uno “comodo” e, dopo ulteriori errori, affidarsi a un sergente di ferro senza dargli gli strumenti necessari per lavorare.

Siamo sinceri: se in azienda i vertici non fanno il loro mestiere e il capo predica bene ma razzola male (è necessario farsi vedere sui social alle gare di sci di Kitzbuhel prima di gare importanti oppure a giocare a padel?), chi si impegna davvero? L’intera baracca va rifondata.

Nel 1951 una grande scrittore di fantascienza, Isaac Asimov nell’immagine, scrisse un capolavoro. Nella trilogia chiamata “Ciclo delle Fondazioni”, si racconta in sintesi che per uscire da una crisi servono processi di rifondazione.

Dobbiamo assumere un vero Direttore Sportivo con esperienza comprovata, lasciarlo lavorare e dargli modo di procurare i giocatori richiesti dal suo allenatore.

Servono dirigenti che si assumano le responsabilità – anche pubblicamente, davanti ai media -, diano il buon esempio e sappiano correggere rapidamente gli errori.

Occorre metter mano alla rosa e vendere chi non rende come ci si aspettava (e magari indovinare i giocatori giusti … non solo perché costano meno di 20 milioni).

Occorre rimodellare questo progetto, che nella sostanza ha buone basi, adattandolo però alle esigenze della squadra e alla storia del club.

Solo così l’allenatore e i giocatori ritroveranno fiducia e motivazione.

Serve una (ri)fondazione.


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