3 Luglio 2024

RossoneroBlog

Fatti ed opinioni su AC Milan

Analisi di uno choc

L’opinione

di Federico Zacaglioni

Analisi di uno choc 

Lunedì sera, tornato a casa dal lavoro, ho acceso la tv e ho avuto un tuffo al cuore. Come tantissimi di noi, ho appreso che Paolo Maldini e Frederic Massara erano stati accolti in un hotel milanese da un Gerry Cardinale in versione “The Apprentice”. 

You’re fired”, gli avrebbe detto in mezz’ora appena di comunicazione, non di dialogo né di confronto.

Ci ho messo una notte a cercare di smaltire la delusione e a ragionare sui perché di questa scelta. Ho fatto il giro dei canali tv e dei talk che parlavano di irriconoscenza, lesa maestà, che tributavano il giusto riconoscimento all’uomo che ha incarnato la storia recente del Milan. Quello che aveva contribuito a farne il “cloeub più titolato al mondo” e quello che si era messo sulle spalle, come Atlante, il fardello di riportarlo alla gloria interpretandone al meglio i valori, l’immagine vincente, lo stile e l’eleganza sportiva. Il cuore era con Maldini, idolo da sempre, e con Massara, del quale mi ero innamorato vedendolo piangere da solo in panchina il giorno dello Scudetto. 

Poi al mattino mi sono detto che no, quella decisione non poteva essere il frutto di uno strappo estemporaneo e umorale. Che dietro a una decisione così drastica non potevano esserci solo diversità di vedute sulle disponibilità economiche da investire sul calciomercato o prospettive divergenti sul destino di un allenatore. Così ho cercato di ripercorrere la storia di questi mesi, ho cercato di depurare la riflessione dai gossip, dalle indiscrezioni giornalistiche, dalle tante voci che sono arrivate alle orecchie dei tifosi. Ho pensato che non si fa un servizio a nessuno, attribuendo una decisione così strategica al carattere e alla personalità degli interlocutori o alla differenza di stile e di cifra comportamentale, che pure in tanti sostengono in queste ore come ragione del divorzio (per semplificare, l’aristocratico del calcio versus il neofita danaroso che non tollera l’autonomia del manager sportivo).

Così, siccome mi capita di pensare meglio quando scrivo, ho buttato giù un thread su Twitter che gli amici di “RossoneroBlog” mi hanno chiesto di trasformare in questo articolo allo stesso tempo riassuntivo, ma anche meno vincolato dallo stringente limite di caratteri del social network. 

Un anno vissuto pericolosamente

Ricordiamo tutti quanto avvenne un anno fa di questi tempi. Scudetto, festa e il giorno dopo quell’intervista di Paolo Maldini che gettava un’ombra sui programmi del futuro e sulla sua stessa permanenza al Milan. Tutto iniziò da lì. Quella che sembrava una formalità, la proroga del contratto suo e di Massara, registi del 19esimo tricolore, che improvvisamente si trasformava in una corsa ad ostacoli, con gli avvocati impegnati fino a tarda notte a scrivere clausole, postille, condizioni. Da ottimista pensai: c’è il closing di mezzo, c’è una sintonia da trovare, non c’è più Gazidis col quale – pure in una dialettica molto serrata – si era trovato un equilibrio. Ora si riparte nelle condizioni migliori e nella chiarezza. Invece era solo l’inizio di un anno che, al di là dei risultati sportivi, ha creato ancora più distanza, ha evidenziato l’inconciliabilità tra due visioni e tra due modi di intendere il progetto, ha sfaldato un rapporto che pure andava costruito. 

Il progetto RedBird prescinde dalla legacy

“Paolo Maldini è il Milan”. Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase, che ci inorgogliva e ci identificava. Ecco, con la decisione di Cardinale, un analista non può che concludere che RedBird non attribuisca a questa frase un valore che vada oltre la stima per l’uomo e il professionista. Anzi, questa legacy, questa eredità ideale che lega la famiglia Maldini ai colori rossoneri è addirittura un elemento destabilizzante per il progetto sul quale il fondo si è impegnato a investire 1,2 miliardi di euro. 

Già, perché Gerry Cardinale e i suoi partner (professionisti del fund raising e del mercato dei capitali) sono entrati nel calcio con un progetto opposto a quello a cui siamo abituati. Solitamente in Italia chi compra una squadra di calcio lo fa perché ne è tifoso o perché essa è veicolo di notorietà e tradizione (gli Agnelli, i Berlusconi, i Moratti). Da qualche anno, invece, si avvicinano al calcio europeo imprenditori e manager che approcciano il football in ottica imprenditoriale. 

RedBird – pur appartenendo alla seconda fattispecie – è entrata nel Milan e nel Tolouse con l’idea di rivoluzionare il business del calcio. Cardinale ha costituito i fondi che hanno investito nella società rossonera, andando a raccogliere i dollari tra i vip d’America (da Lebron James a Drake, passando per la famiglia Steinbrenner degli Yankees). E a loro ha presentato un progetto: voglio introdurre metodologie innovative (data analytics, scouting evoluto, business model da media company) in un mondo che ha difficoltà (tranne in UK) a generare valore da una passione che accomuna milioni di fans e che può diventare la nuova industria dello “sport entertainment” globale. Un po’ quello che accadde alle leghe professionistiche americane all’alba dell’esplosione dello sport in tv. Solo che oggi non guida più il piccolo schermo, ma il driver è il digital e i circa 25 device che secondo le stime di Deloitte e Google ognuno di noi possiederà nel breve volgere di qualche anno (dalla tv allo smartphone, dal pc ai tablet, dall’auto connessa ai supporti smart home). 

Chi ha messo soldi nel Milan, per farla breve, lo ha fatto per questa visione. L’investitore di RedBird, probabilmente, avrà sentito parlare di Paolo Maldini 3-4 volte nella sua vita, che invece è stata accompagnata dalle gesta di wrestler, campioni del baseball, pugili leggendari, piloti della Nascar o funamboli del basket. È a loro che risponde Gerry Cardinale. È a loro che è rivolto il suo progetto (ha ripetuto spesso “io sono quello che prepara i business plan”). È a loro che ha chiesto di investire in un calcio da rivoluzionare.      

Due visioni inconciliabili

Questa differenza di visione è diventata la tomba del rapporto tra i due protagonisti della vicenda. Maldini ha una visione “tecnica” e basata sulla competenza personale. Ok scouting, ok algoritmi, ma è l’uomo d’esperienza che sceglie alla fine, che valuta i calciatori, che decide se un De Ketelaere da 35 milioni di euro ti può svoltare una stagione (si tratta solo di un esempio, ndr). Cardinale ha in testa il suo partner Billy Beane e il metodo “moneyball”, che ha cambiato il player trading degli sport professionistici USA. Un metodo basato sull’”intelligenza” dei dati, sulla trasformazione dei big data (la massa di informazioni statistiche che si raccolgono sui calciatori) in good data (la capacità di estrapolare quei dati che mettono in luce quello che serve al tuo club per essere competitivo restando nel perimetro delle risorse concordate collegialmente da area manageriale, finanziaria e sportiva).  

Questo metodo lo ha messo in pratica nel Tolouse e, in grande stile, vuole applicarlo anche al Milan. E vuole creare un network di società che, seppur divise da chinese walls per non incorrere nei vincoli Uefa, dovrebbe somigliare molto al sistema RedBull (con Lipsia e Salisburgo, in Bundesliga tedesca e Fußball-Bundesliga austriaca). 

In quest’ottica, Maldini non ha alcuna colpa se non una differenza sostanziale di visione con il proprietario del club per il quale lavorava. L’execution del business plan ne è un esempio: siti e giornali specializzati ci hanno abituati ogni estate alla diatriba sul “budget” da investire nei cartellini dei giocatori, da mettere a disposizione di DT e DS che poi operano in autonomia. Nella visione RedBird questa metodologia di azione ex ante è improponibile. Il modello che intendono applicare (almeno da quanto si comprende dai loro speech e dalle loro presentazioni) prevede una forte interconnessione di più parametri: valore del “cartellino”, salary cap annuale, saldo totale ammortamenti, valutazione collegiale della fattibilità di ogni singolo investimento, fungibilità degli obiettivi di mercato in base ai dati. 

La stanchezza di mediare

Tutto ciò ha portato a una stanchezza da parte dell’azionista nel dover mediare rispetto al mandato assegnato all’area tecnica. A mio parere, pur avendo di fronte (con Maldini e Massara) un mostro sacro del calcio europeo e mondiale e un dirigente tra i più capaci del panorama calcistico italiano, Cardinale deve aver ritenuto eccessiva la fatica che Ivan Gazidis si era sobbarcato dal 2018 allo scorso anno per mantenere nei limiti della dialettica questo tipo di diversità interpretativa dei ruoli. Il laconico comunicato di oggi (“Le responsabilità saranno assegnate a un gruppo di lavoro integrato che opererà in stretto contatto con il Coach della prima squadra, riportando direttamente all’Amministratore Delegato”) pare confermare questa visione. 

Organizzazione lineare vs organizzazione per sfere di competenza 

Infine, c’è la stata la rigidità, da ambo i lati, sui modelli organizzativi. Il “parafulmine” Maldini, con la sua storia e la sua capacità di trasferire valori emozionali ai calciatori e agli obiettivi di mercato, è stata decisiva nel convincere giocatori ad approdare a Milanello o esempio pratico quando il Gruppo ha incontrato difficoltà. Lo dimostrano gli attestati di stima che il DT ha ricevuto sui social da tanti protagonisti della prima squadra. Ma – agli occhi di RedBird –, questo ruolo di driver dell’area tecnica, ha anche compartimentato un modello organizzativo che gli americani vedono più orizzontale. Il reparto scouting, del quale si parla benissimo, ad esempio, non ha avuto (secondo alcune testimonianze) la valorizzazione che gli americani si aspettavano. E l’esito dell’ultimo calciomercato, in termini di minuti giocati e di generazione di valore dei nuovi acquisti, ha portato a un bilancio negativo e a un progressivo allontanamento tra l’allenatore (rinnovato e poi messo in discussione) e la dirigenza. 

Conclusione: tra rischio e certezze 

Il cuore del tifoso, insomma, dice una cosa, la ragione dell’osservatore, dall’altro lato, cerca di comprendere appieno le ragioni che, dopo un anno di questa situazione, hanno portato a un redde rationem lontano dal nostro modo di concepire le relazioni aziendali, ma che è proprio dei modelli gestionali d’Oltreoceano e di chi vuole innovare con decisione e rapidità. 

Concludo come ho fatto su Twitter. La bontà delle scelte sarà misurata su variabili oggettive (risultati sportivi ed economici) ed aleatorie (rendimento del parco giocatori, capacità di trasferire valori al Gruppo, capacità di generare valore anche immateriale).

Quello che resta è una forte assunzione di rischio da parte dell’azionista verso il popolo rossonero, ma anche la certezza che il passo non è stato compiuto per un colpo di testa, un’arrabbiatura del momento o una riunione andata male. Ma per cercare di mettere le gambe a un progetto nuovo per tutti nel Vecchio Continente e che ha come focus la crescita di valore dell’AC Milan. Sarà quello, infatti, il metro di giudizio del lavoro di Cardinale, di RedBird anche da parte dei loro investitori.  


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