28 Giugno 2024

RossoneroBlog

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Inchiesta FIGC: cosa rischia il Milan?

Cosa rischia il Milan? La domanda alimenta il piombo dei giornali, i microfoni degli opinionisti, le tastiere digitali dei social da giorni. Da quando, cioè, i pm della procura di Milano Giovanni Polizzi e Giovanna Cavalleri hanno spedito il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza a Casa Milan, ad acquisire documenti e a notificare gli avvisi di garanzia a carico dell’ad Giorgio Furlani e del suo predecessore Ivan Gazidis, indagati con Daniela Italia e Jean Marc Mclean, amministratori della lussemburghese Project Redblack, che controlla la Rossoneri Sport Investment. In pratica, la Procura di Milano sospetta che RedBird sia un proprietario di facciata e che il fondo Elliott dei Singer sia rimasto proprietario del Milan, o di una quota di controllo di esso, anche dopo la cessione a Cardinale. L’ipotesi di reato sarebbe quella di “ostacolo alla vigilanza”, perché ci sarebbero differenze tra la documentazione presentata alla Federcalcio e quella depositata alla SEC (la Consob statunitense). 

La giustizia sportiva suggestionabile dalle indagini 

Andiamo per ordine. La risposta alla domanda iniziale non può che essere una: impossibile dirlo. E la motivazione della risposta è: perché siamo in Italia. Qui la giustizia sportiva presuppone logiche diverse da quelle della procedura di indagine e del processo penale. Basti pensare al concetto di lealtà sportiva, ad esempio. E poi c’è la suggestione che l’impatto mediatico di certe inchieste suscita nell’opinione pubblica. 

La realtà, però, è che per la giustizia sportiva (che non ha nemmeno aperto un fascicolo e che non ha ricevuto alcun atto dalla procura milanese), nel caso in cui fossero ravvisati elementi probatori tali da giustificare un giudizio, dovrebbe dimostrare la responsabilità oggettiva del club e comminare una sanzione commisurata alla eventuale violazione. Che – nel caso della violazione delle norme federali relative alla comunicazione della proprietà – va da un’ammenda a uno o più punti in classifica. Insomma, “noccioline”, peanuts, come dicono gli americani. E anche lo spauracchio Uefa, con l’infinita inchiesta francese sulla multiproprietà Elliott di Milan e Lille, è un rischio vicino allo zero. Che un prestito da 200 milioni erogato dal fondo angloamericano possa prefigurarsi come elemento in grado di dimostrare il controllo sulla società francese, è un esercizio piuttosto spericolato. 

Il ruolo della vigilanza FIGC: tutto da dimostrare il ruolo pubblicistico

Ma è la nascita dell’inchiesta che è l’elemento più controverso. Alla base di tutto c’è la denuncia presentata al Palazzo di Giustizia milanese da un soggetto, la Blue Skye, che lamenta la propria mancata remunerazione nell’operazione che ha portato il club da Elliott a RedBird e che, finora, ha perduto tutte le cause per acquisire i documenti alla base di quella transazione. 

Ora gli inquirenti – da ciò che si legge sui giornali – hanno formulato una ipotesi di reato che si manifesta piuttosto controversa in partenza. Negli atti si legge che la società avrebbe comunicato alla Commissione sulle Acquisizioni delle Società Sportive (COAPS) della Federcalcio una situazione difforme dalla realtà. Operando così un “ostacolo alla vigilanza” che sarebbe esercitato dalla FIGC attraverso le sue articolazioni. 

Il problema è che la Coaps non è né Consob né Bankitalia. Ma, come la Covisoc che controlla sui bilanci, è l’emanazione di un ente di diritto privato (la Figc appunto) come testimoniano sentenze del Consiglio di Stato e delle Corti europee. 

L’approccio acritico di molti media

Poi vi sono altri elementi. Che sono suggestivi per i media, che stanno cavalcando l’inchiesta, in gran parte assumendo acriticamente e senza discernimento, le tesi dell’accusa e, addirittura, quella di una delle parti in causa (i denuncianti). Ma che hanno un rilievo del tutto risibile, se si conoscono i meccanismi che regolano la industry dell’equity delle società e delle M&A (cioè della compravendita delle partecipazioni azionarie). 

A puro titolo esemplificativo: da due anni, dal closing tra Elliott e RedBird, si continua a sottolineare come il fondo cedente abbia mantenuto un ruolo attraverso il ricorso alla formula del vendor loan. Molti, impropriamente, citano la presenza di Singer in CDA e il ruolo gestionale affidato agli ex dipendenti Elliott, Furlani nel ruolo di AD e Stefano Cocirio in quello di CFO. Oppure di Scaroni confermato presidente (poi divenuto direttamente dipendente di RedBird). Io stesso, all’atto della nomina, sottolineai come queste sliding doors non fossero troppo eleganti. Ma i due si sono dimessi da Elliott e ora sono dipendenti diretti del Milan. Ma qui non si giudica l’estetica, bensì gli elementi fattuali. Ed è troppo poco per dimostrare che il fondo controlli ancora il Milan. 

Il grande equivoco del vendor loan 

Idem per quanto si riferisce al vendor loan. Farsi prestare parte dei soldi per una acquisizione, a un tasso di vantaggio dal cedente, è una pratica consueta nel mondo M&A. Ha riguardato, ad esempio, anche il passaggio dell’Atalanta alle società riconducibili all’americano Pagliuca. I Percassi, infatti, hanno prestato una trentina di milioni con una formula analoga a quella usata da RedBird e Elliott, all’acquirente che ha racimolato la cifra restante con bond a tassi più alti. Ma in questo caso, a nessuno è venuto in mente di indagare o presentare denunce. Basta farsi un giro su Google per trovare pareri legali esplicativi, nonché statistiche internazionali sull’utilizzo di questa formula, sempre più frequentemente utilizzato. Si tratta, in pratica, di una formula di pagamento differito delle quote azionarie, attraverso il quale l’acquirente ne ottiene subito il controllo rinviandone il momento del pagamento di una parte e consentendo all’acquirente di acquisire interessi e poteri di verifica della bontà gestionale attraverso patti parasociali. Questi consentono la presenza di soggetti in CDA a tutela del venditore e anche la continuità di progetti gestionali.  Stupisce che il ricorso a questa pratica stupisca, per dirla con un antico adagio. 

I documenti acquisiti in sede presentati come scoop sensazionali

Non ci permettiamo di muovere critiche agli inquirenti. Che in nome della obbligatorietà dell’azione penale, hanno tutto il diritto di verificare eventuali reati ed eventualmente sanzionarli. Non abbiamo le carte dell’inchiesta e non sappiamo se le ipotesi di reato resisteranno durante la fase di inchiesta o, successivamente, in quella processuale. 

Ma una considerazione sull’impatto mediatico della vicenda si può già fare. Una investor presentation (slide che devono spiegare una operazione ingresso in equity da parte di un investitore terzo) è stata presentata da giornali e tv come la madre di tutte le prove. Stiamo parlando di un documento di marketing aziendale che viene utilizzato in roadshow e presentazioni con gli investitori quando si vuole aumentare l’attenzione sul capitale azionario di una società. Niente di più. E in alcuni media sono stati trascritti addirittura i disclaimer (testi di esonero di responsabilità) che servono a rendere chiaro al potenziale investitore che la natura e le intenzioni della presentazione stessa sono compliant con la normativa vigente e che vigono obblighi di riservatezza. 

Ha fatto discutere la presenza di PIF (il fondo sovrano arabo di Bin Salman) nel titolo di una di queste presentazioni. E a chi, se non al maggiore investitore dell’area del Golfo, RedBird avrebbe dovuto presentare una propria opportunità di investimento? A chi se non a Investcorp, che già aveva manifestato interesse ad Elliott salvo poi non concretizzare l’acquisizione nei tempi previsti dall’esclusiva, si sarebbero dovuti rivolgere i responsabili M&A del club?

Lo stesso Cardinale aveva di recente esplicitato questo obiettivo. Aprire Casa Milan nel Golfo Persico (a Dubai) per trovare investitori di minoranza disposti a entrare nel Milan per acquisire quote con le quali RedBird avrebbe liquidato parte del vendor loan in anticipo. Lo hanno scritto tutti (io addirittura in un thread su X a dicembre). E ora cascano dal pero. Paradossale.   

Andiamo oltre, al presunto filone di inchiesta sul prezzo di acquisizione di 1,2 miliardi. Ci ha pensato la stessa procura di Milano a smentire indagini su una normale transazione tra privati regolata da accordi tra le parti, che non necessariamente devono rappresentare l’enterprise value della società. Spesso, infatti, si applicano dei multipli rispetto ad alcuni fattori e alle potenziali opportunità di sviluppo del business. Altrimenti non esisterebbero gli investimenti di rischio.

Ma dopo aver letto sui media italiani che il valore dei calciatori veniva stimato sui report di Transfermarkt (un sito specializzato, citato anche negli atti di indagine del caso Juventus), adesso abbiamo una nuova puntata con gli algoritmi di Football Benchmark, un analista privato. Che è poi stato costretto a spiegare l’ovvio: che la sua analisi può presentare scostamenti significativi rispetto al valore reale sul mercato del club. Che dipende da innumerevoli fattori. 

Alcuni specialisti su X, ad esempio gli avvocati Raimondo e Intrieri, e anche alcuni giornalisti come Giudice del Corriere dello Sport, hanno evidenziato come la proprietà del club sia riscontrabile con visure internazionali, nei paesi di appartenenza dei veicoli di controllo. Che rimandano tutti a Gerry Cardinale.  Al di là di tutto ciò, le indiscrezioni che emergono sui media evidenziano una questione preoccupante per il sistema calcio italiano. Indagini come queste provocano un’alea di rischio sul settore, rendendo l’Italia ancor meno appetibile all’estero.