

Mi sembra di impazzire.
La stagione non è ancora ufficialmente finita, ma dopo ieri sera, per molti di noi, lo è. È stata un’annata da montagne russe, un saliscendi continuo tra illusioni e crolli. Abbiamo salutato Stefano Pioli, volato in Arabia per un mare di milioni, e oggi vogliono mandarlo via anche da lì, proprio come volevamo noi rossoneri nel suo ultimo anno a Milanello.
Il mercato estivo sembrava promettente: sono arrivati nomi importanti come Álvaro Morata, Youssouf Fofana, Strahinja Pavlović e il discusso Emerson Royal.
Alla guida tecnica, però, è stato scelto Paulo Fonseca. Non era il profilo che molti sognavano, ma era sicuramente più accettabile rispetto a Julen Lopetegui, prima scelta della dirigenza.
Dalle speranze ai primi crolli
Con Fonseca il Milan ha alternato prestazioni incoraggianti a sconfitte inspiegabili. Si è vinto il derby e battuto il Real Madrid, ma anche perso a Parma, Firenze e pareggiato mestamente a Cagliari.
Il percorso in Champions? Positivo a tratti, ma nel complesso deludente.
A metà stagione, l’addio: Fonseca esonerato. Ottavi in classifica, esattamente come ora. I motivi? Risultati insufficienti e uno spogliatoio spaccato.
Al suo posto, Sergio Conceição. L’inizio è da sogno: il Milan vince la Supercoppa a Doha battendo Juventus e Inter. Conceição che balla col sigaro nello spogliatoio fa il giro del mondo. Sembrava l’alba di una rinascita.
Ma il treno delle montagne russe riparte…
Dopo la Supercoppa, il Milan ricomincia a salire e precipitare: vittoria con la Roma, sconfitta con la Juve. Eliminazione in Champions per mano di un modesto Feyenoord. Sconfitte con Bologna, Lazio, Napoli, Atalanta.
Solo con l’Inter si è visto un Milan all’altezza. Per il resto, Fonseca o Conceição, poco è cambiato.
Il finale di stagione? Sconfortante. Una pena. E mi fermo qui.
Il vero problema: chi comanda davvero?
In tutto questo abbiamo imparato una cosa fondamentale: Fonseca, come Conceição, non ha avuto voce in capitolo sul mercato. Parola di Giorgio Furlani: “Il mercato lo fa la società”.
Dunque, le scelte sono state tutte di Furlani, Moncada e (forse) Ibrahimović. Allenatori spettatori.
Ed è questo il nocciolo della questione: il progetto Milan è stato pensato per i bilanci, non per vincere.
Cardinale aveva promesso crescita sportiva per generare ricchezza. Invece, ha affidato la gestione del club a manager finanziari, non sportivi, e ha legato tutto al progetto immobiliare del nuovo stadio. Il calcio, quello vero, è diventato secondario.
E ora? Player trading e illusioni
Si profila un’altra estate fatta di player trading. Il principale sacrificato? Probabilmente Tijjani Reijnders, già nel mirino delle big europee. La sua cessione servirà a sistemare i conti, in assenza delle coppe europee. Tutto tornerà “in ordine”, sulla carta.
Ma chi ama questo sport sa bene che vendere troppo e male porta solo disastri tecnici. E noi, purtroppo, lo stiamo vivendo sulla nostra pelle.
Cosa resta ai tifosi?
Resta la speranza.
Quella che Cardinale cambi rotta.
Quella che l’intera dirigenza venga azzerata.
Che si riparta da un allenatore vero, da una rosa ricostruita con criterio.
Ma finché RedBird continuerà a gestire il Milan come un fondo immobiliare, sarà difficile tornare a vincere. Anche se si presentasse un’offerta da sogno, Cardinale non venderà: perderebbe credibilità davanti ai suoi investitori.
E allora, guardando tutto questo con gli occhi di un semplice tifoso, non resta che augurarsi un cambiamento. Un vero, profondo, coraggioso cambiamento.
Perché continuando così, il futuro rossonero sarà ancora più buio del presente.


Fabio Caserini è tifoso milanista fin dall’età di sei anni, quando Gianni Rivera consegnò lo scudetto al Milan grazie ad un suo goal contro il Brescia.
È Direttore Responsabile di RossoneroBlog e insieme ad altre 5 persone è co-fondatore del gruppo privato Facebook Casa Rossonera
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